Enna. Frenetica attività del “Teatro dei Territori”
da ViviEnna
Il laboratorio “Teatro dei Territori”, il cui responsabile del progetto è Aurelio Gatti, coadiuvato dalla organizzazione generale, gestita da Walter Amorelli, prosegue il proprio percorso di formazione con l’attore e regista Piazzese, Antonio Venturino, formatosi prima a Roma presso “Il Circo a Vapore”, e poi al Teatro Piccolo di Milano, e attualmente insegnante di tecniche della Commedia dell’Arte in molte scuole di drammaturgia, in Italia e in Inghilterra,
Antonio Venturino, da cosa deriva la scelta di specializzarsi proprio nella Commedia dell’Arte, e come vi approda?
Più che un’esigenza, si è trattato di un percorso naturale. Da siciliano quale sono; nato e cresciuto qui, sono da sempre stato circondato da una tradizione di racconti, per cui avvicinarsi alla commedia è stato abbastanza semplice; tra l’altro v’era un periodo in cui mi stavo cimentando con il teatro di Dario Fò, e quindi la “nuova commedia” di Fò, da cui ho ritenuto opportuno fare un salto indietro e cercare di capire da dove proveniva questa nuova commedia, e allora mi sono avvicinato a Soleri e ho scoperto il mondo delle maschere.
In cosa consiste la Commedia dell’Arte, e quali sono i suoi caratteri principali? Qual è il personaggio suo preferito?
Un grande maestro diceva che la commedia dell’arte è la sintesi di tutte le arti, o meglio la madre di tutte le arti. Fare commedia dell’arte è secondo me capire cosa vuol dire fare teatro e farlo. Tra i personaggi preferiti,che, mi piacerebbe interpretare.. forse un po’ tutti, da Pantalone ad Arlecchino perché c’è molto da imparare, passando ovviamente attraverso gli altri caratteri. Uno fra tutti sarebbe comunque l’Arlecchino, ma più per un fatto affettivo, perché sono molto legato al maestro Soleri che lo interpreta.
Cos’è la “maschera” nel teatro? E nella vita?
Nella vita dopo aver indossato la maschera, è la propria stessa persona a pagare, a teatro è il pubblico a pagare l’esibizione della tua maschera. La maschera è qualcosa che ha un prezzo in tutti i casi, ed è meglio non indossarla nella vita.
Cosa mira a raggiungere attraverso i numerosi workshops che tiene in tutta Italia? Che messaggio intende dare a chi aspira di fare l’attore, e a chi semplicemente partecipa ad attività di questo tipo per curiosità?
Recentemente la commedia dell’arte è tornata ad essere molto popolare, in molte scuole si prova a fare commedia, e ciò è positivo. Il dato negativo è che purtroppo si fa commedia partendo da ricerche molto personali, e nemmeno avallate da documenti, già rari in sè, né da esperienze reali sul palcoscenico. Per cui, sulla base dell’esperienza fatta col maestro Soleri, seguendo la scia delle sue lezioni frutto di una lunga ricerca ed esperienza; nel fare questi workshops e nel portare avanti la sua idea di commedia dell’arte, cerco e spero di salvaguardare in parte il ricco patrimonio della commedia dell’arte, che appartiene a tutti quanti noi, e di cui è bene essere consci.
Lei sogna di divenire maestro di Commedia dell’Arte, come lo è stato Ferruccio Soleri? Ci sta lavorando?
No, non voglio avere questo onere, preferisco portare avanti soltanto il mio lavoro in modo onesto e giocoso, perché mi piace sperimentare di volta in volta durante le lezioni la maschera e studiare nuove possibilità di interpretazione. Non ho nessun’altra aspirazione se non quella di divertirmi con le persone con cui lavoro.
Perché i maestri, o gli esperti nel campo sono sempre di meno? Cosa viene a mancare al genere della Commedia dell’Arte? O cosa non carpisce la gente della Commedia?
Probabilmente oggi ci siamo un po’ allontanati dalla commedia, perché la società che ci circonda è completamente diversa rispetto a quella della commedia dell’arte. Oggi ci si allontana da essa, perché forse per fare commedia bisogna avere un po’ più di passione e tempo, lavorare un po’ di più. Non siamo abituati a certi ritmi che richiede la commedia, a determinati equilibri della semplicità dell’azione e reazione; la nostra è una società nel quale uno sforzo diverso su un determinato settore, non ci aggrada, non ci interessa, ci rende diffidenti.
Ci parli dell’esperienza con Dario Fo del riadattamento dello spettacolo “Mistero Buffo”, in siciliano
Fu un’esperienza molto interessante perché come dicevo prima, mi ero avvicinato alla nuova commedia dell’arte di Dario Fò e ad un certo punto nacque l’esigenza personale di mettere in scena qualcosa e quando ci provai per la prima volta con il Mistero Buffo usando il franco-citanico, utilizzato da Fò, non mi sentivo a mio agio, perché pur usando una forma dialettale, pensai che sarebbe stato più logico farne una traduzione linguistica a me consona, e quindi il dialetto piazzese, che conseguentemente mutò anche la gestualità, perché utilizzando una lingua a me molto più familiare venne fuori un movimento anche più libero. Dario Fò non ebbe nulla da ridire riguardo la mia scelta; e lo spettacolo ebbe un grande successo con molte repliche.
Cosa provi salendo su un palco?E quando lo spettacolo è terminato?
Una certa emozione c’è sempre in ogni spettacolo, specie quando fai una cosa del tutto nuova: c’è una emozione iniziale, una certa agitazione, ma quando hai calcato più volte il palcoscenico con uno stesso spettacolo adempi al tuo lavoro di attore con meno adrenalina, ma non meno impegno, che va impiegato costantemente in qualsiasi spettacolo. D’altronde stiamo parlando di un lavoro, come tanti altri, c’è da faticare come in qualsiasi cosa.
In una parola, cos’è il teatro?
Vita
Aurica Livia D’Alotto