Laboratorio permanente dei linguaggi della scena, nato nel 2006 nel centro della Sicilia, per realizzare un Centro di produzione culturale residente nella provincia di Enna.



venerdì 23 aprile 2010

Teatro dei Territori Enna. Lezione con Giorgio Napoletano


da www.vivienna.it
 
Enna. Tra l’immedesimazione e l’improvvisazione, un solo movimento, intenzionale, casuale, “sfuggente”, mal calcolato o troppo calcolato, può tagliare l’attenzione del pubblico, o attanagliarla. Difficile restare in equilibrio, quando bisogna coordinare i propri movimenti, e renderli consoni e proporzionati a quelli degli altri componenti del “coro”. Ma è ciò che ha tentato di fare il danzatore, insegnante e coreografo siracusano, Giorgio Napoletano, in occasione del seminario dei giorni 20 e 21 aprile tenutosi nel corso del laboratorio teatrale “Teatro dei Territori”, diretto da Aurelio Gatti.
-Giorgio Napoletano, inizi i tuoi studi a Siracusa, per poi trasferirti a Roma, e proseguire a New York, e dal 2007 sei direttore artistico del “Centre Danse Ensemble” di Bari; i tuoi stili spaziano dal jazz al funky, dalla danza classica al contemporaneo. Quale di queste forme espressive ti è più consona, e quale di queste hai o stai più utilizzando nella tua carriera?
“Sicuramente c’è maggiore esperienza sulla modern e modern jazz, avendo avuto molti maestri di modern, e poi la maggior parte dei lavori che ho fatto in tutti i teatri e rappresentazioni televisive erano incentrate su questo stile; il tutto senza dimenticare la preparazione di classico e di contemporaneo che ho sempre seguito come studio professionale. Ambiti in cui mi sono maggiormente ritrovato sono stati l’improvvisazione e il modern: è l’espressione migliore del corpo che io riesca a trovare in me stesso; anche i passi a due sono la mia specialità, dove un grande maestro come Renato Greco mi ha insegnato a saper trattare le coreografie a due o a tre. Lo studio del classico, mi è servito invece, più per una formazione muscolare, e va eseguito anche con una certa precisione. Sono necessarie delle doti profonde per scegliere determinate discipline, e quindi trovare la propria strada per esprimersi al meglio”.
-Tu hai lavorato con molti artisti di fama internazionale come Aurelio Gatti, Franco Miseria, De La Roche, con chi hai ritrovato maggiori affinità, e con chi ti piacerebbe lavorare nuovamente?
“Si ho avuto grande fortuna in questo senso, cito pure Amedeo Amodio, Luciano Cannito che tuttora è direttore del Teatro Massimo di Palermo, Renato Greco, con i quali mi piacerebbe rilavorare, anche se, essendosi le varie professionalità separate seguendo ognuno la propria strada.. diviene difficile poi rincontrarsi”.
-Qual è l’elemento fondamentale per un giusto movimento del corpo in scena?
“La percezione dello spazio: di sé e dello spazio; ognuno di noi deve avere una forma di radar per non trascurare nessun movimento e nessun limite che può esserci: una sorta di quinto senso e mezzo lo definisco”.
-Conta più l’immedesimazione nel ruolo che si sta interpretando o la capacità di improvvisare sul momento, in scena?
“Tutt’e due: la capacità di improvvisare senza perdere la direzione del personaggio che si sta b interpretando. D’altronde la capacità intuitiva e l’improvvisazione sono delle doti che ogni artista e danzatore dovrebbe avere”.
-Le tue esperienze spaziano anche nel mondo televisivo in numerosi programmi Rai e Mediaset; ed in quello cinematografico, ricordiamo “Il talento di Mr Ripley”, Che differenze hai rintracciato nel modo di lavorarvi in ognuno di questi ambiti.
“L’esperienza televisiva, fatta ai miei tempi, è stata molto importante, ricordo ancora le trasmissioni con Gino Landi, Franco Miseria, e lavorare accanto a Lorella, o con la Goggi; nel cinema ne “Il tal di Mister Ripley”, ho conosciuto Matt Damon, Jude Low, e ho visto come la troup americana lavori, che è assai differente da quella tipica italiana, soprattutto nel modo di raggiungere degli obiettivi con una certa precisione. La differenza tra i due settori è che la televisione, per fare 4 minuti di balletto, richiede la preparazione di una settimana; invece una scena di film, di 3 minuti, richiede più settimane, col rischio finale che venga tagliata”.
- Tra tv e teatro dove converge la tua preferenza?
“Preferisco senza ombra di dubbio il teatro: veder un sipario da dietro e quando si apre, è tutta un’altra cosa; la televisione ti inquadra soltanto in quel momento; nel teatro sei tu, non puoi mentire, tutto ciò che fai è visibile”.
Cosa provi salendo sul palco? E quando hai terminato lo spettacolo?
“Fortunatamente riesco ancora a provare forti emozioni anche se faccio pochissimi spettacoli perché dopo 25 anni di carriera ho deciso ,quasi, di appender le scarpette al chiodo. Quello che provo è una sensazione di ricerca nelle mie emozioni e seguire poi, la magia che si crea; dopo c’è sempre un piccolo senso di distacco che prende,, però c’è la serenità di aver trasmesso alla gente”.
In una parola.. cos’è teatro?
Una piccola bugia di vita.
Aurica Livia D’Alotto