Laboratorio permanente dei linguaggi della scena, nato nel 2006 nel centro della Sicilia, per realizzare un Centro di produzione culturale residente nella provincia di Enna.



giovedì 1 aprile 2010

Vittorio Vaccaro al “Teatro dei Territori” di Enna



Vittorio Vaccaro, attore e regista nativo a Calascibetta, direttore artistico della compagnia teatrale “Teatro Urlo”, diplomato presso l’Accademia d’arte drammatica “Nico Pepe” di Udine, concluderà il prossimo mercoledì, il proprio ciclo di incontri con i ragazzi del laboratorio “Teatro dei Territori” di Enna, organizzato dal poliedrico Walter Amorelli: 
Non lavoriamo per stereotipi, scaviamo nella mente degli attori e tiriamo fuori tutto questo come nel dipinto di Edward Munch”
cosa intendi con questa tua affermazione?
“Ogni testo, ogni situazione, ha a che fare sempre con la vita, quindi ogni attore si approccia  al testo prima di tutto partendo dalla propria vita quotidiana, ma non con gli stereotipi della vita ma andando fino in fondo, scavando anche nella parte emotiva e dei ricordi, che non è il metodo Stanivslaski, ma, ha a che fare da vicino con il singolo attore che se, per esempio rappresenterà  l’Amleto, quell’Amleto sarà suo e solo suo, diverso da chiunque altro lo rappresenti”.

Tu parli spesso del metodo de “La verità dell’attore”, cioè?
“E’ un metodo che io cerco di seguire, ma più che un metodo è un percorso che sto facendo per  portare in scena una recitazione che non sia “gigiona”, cioè non troppo esagerata, ma che sia allo stesso tempo piena di energia ma anche molto pulita. Se un attore usa questo metodo, il suo pubblico, può rispecchiarsi nel suo modo di fare, ma anche nel movimento che è quotidiano nelle sue espressioni ma dosato con molta energia”.
Nel 2006 fondi la compagnia “Teatro Urlo”, qual è la sua filosofia di base e quali le caratteristiche principali?
“’a verità dell’attore’ è la sua filosofia di base, la ricerca che ogni attore deve attuare con questo metodo che ci accompagna in ogni testo”.
Chi predilige il teatro espresso nella sua contemporaneità e ricerca, si distanzia spesso dal “teatro tradizionale”, classico, perché? Cosa manca in esso per poter semplicemente esser espresso così com’è?
“Il testo è tradizionale, e facendo un testo classico le parole utilizzate rimangono quelle originarie, ma sicuramente la messa in scena “può essere” dettata da una contemporaneità. Ciò che invece oggi trovo anacronistico, è la distanza del palco con la platea, in quanto viviamo in un mondo veloce e che ha a che fare con una distanza assai ridotta e con una velocità che segue ritmi superiore a quella di 20 anni fa; dunque, secondo me non c’è differenza tra scegliere un testo classico o moderno, in questo senso. Il teatro di innovazione, di ricerca, non esiste. Esiste il teatro ed esiste la ricerca”.
Cosa provi salendo sul palco, e quando invece hai finito lo spettacolo?
“Quando ho finito uno spettacolo ho paura di non avere più idee per il prossimo spettacolo, poi per fortuna si trova rimedio. Quando salgo sul palco penso di essere giusto per il palco”.
Tu sei anche conduttore di un programma sul teatro: “Quarta parete”; è possibile trasporre su un format televisivo, quelli che sono i contenuti del teatro? Farne una sintesi?
“No, nel senso che è giusto che la televisione si occupi del teatro, e sarebbe giusto che si occupasse di far vedere un po’ di più, il teatro, ma questo non avviene, non v’è sintesi; il problema è che non se ne parla proprio”.
In una parola.. cos’è il teatro?
“Non lo so”.
Aurica Livia D’Alotto