Laboratorio permanente dei linguaggi della scena, nato nel 2006 nel centro della Sicilia, per realizzare un Centro di produzione culturale residente nella provincia di Enna.



giovedì 6 maggio 2010

Enna. Paola Greco a “Teatro dei Territori”


Enna. Tra il teatro e vita, ecco fuoriuscire la rappresentazione, possibile solo esorcizzando l’inutile, che non sorprende, si ripete ed è fine ad una manifestazione individuale che non approda; è liberandosi con controllo che sorge l’utile: generosità, disponibilità, ascolto dell’altro e del se conducono a percorsi emotivi e reattivi inaspettati, impulsivi, di scoperta ed esplorazione, che difficilmente si slacceranno dagli allievi del laboratorio, giunti oramai a metà del percorso teatrale “Teatro dei Territori”; il corso di teatro, che, alla sua 5° edizione, per la direzione del coreografo e regista Aurelio Gatti, si è per due incontri avvalso della presenza della poliedrica catanese, Paola Greco, figlia d’arte, e migrante nelle sue esperienze teatrali e cinematografiche: sino a ieri direttore artistico dello storico Teatro Club, fondato da la padre Nando, ed oggi a Parigi, immersa nei segreti d’espressione del cinema e del teatro, alla “Acting International” dove attualmente insegna.
Paola Greco, attrice e regista figlia d’arte, collabori prima con la compagnia teatrale “Il Circo di via Condotti” di Roma e l’agenzia di animazione teatrale “Le Paparelle” di Catania, diretta da Turi Greco. Nel 1995 assumi la direzione artistica del Teatro Club, e nel 2001 fondi la Scuola Teatrale di movimento; la tua formazione spazia dai classici, alle tue sperimentazioni testuali, che attingono pure da testi per ragazzi, qual è l’elemento comune nei tuoi testi? Un personaggio, un’emozione, un percorso?

Potrei dire che il filo conduttore sono io stessa e ciò che penso sia utile rappresentare in quel momento della storia; ad esempio in “Parlo con te”, la protagonista guarda la morte perché era vicina alla morte di mio padre. Tratto argomenti che sento forti in quel momento, che voglio contestualizzare; perciò anche la scelta di un eventuale classico, lo voglio contestualizzare in quel momento mio di vita, che poi dunque riguarda tutti e diviene contemporaneo.
- Tu affermi: “Il nostro lavoro non si basa solo su l’acquisizione di tecniche, ma su un ascolto indotto del respiro dell’altro, del battito e del bisbiglio del corpo nel suo movimento”. Come può ognuno, riuscire ad ascoltarsi e dunque seguirsi nei movimenti?
Con disponibilità, dimenticandosi di sé; nel momento in cui lo si fa si raggiunge l’ascolto di sé, non concentrando tutte le attenzioni e tensioni su se stessi.
- Come carpisci il modo in cui devi lavorare sui tuoi allievi, che, siano essi provenienti da laboratori di base, o della tua scuola, rientrano in target differenziati, che vanno da: casalinghe, a bambini, ad aspiranti attori
Dentro ognuno di noi c’è un mondo vasto; questo lavoro mi ha portato a capire molto del mio interlocutore. E mi metto a tal punto in ascolto di questa persona o del mio gruppo, che non ho difficoltà a capire da dove arriva; è una questione di abitudine all’ascolto senza giudizio alcuno. Non deve esservi giudizio nell’osservazione, si guarda, ed anche attraverso l’aspetto fisico, come cioè ci si può porre: es la postura; mi rendo conto dove devo lavorare.
- Dopo 45 anni il Teatro Club di Catania, chiude nel 2009, da lì l’idea di RING APERTO: qual è stata la valenza di quest’ulteriore iniziativa, in quel momento?
C’è stata una risposta pazzesca della città, il sostegno c’era, ma non è bastato evidentemente; abbiamo avuto anche numerosi artisti : Carmen consoli, che è venuta la prima giornata, e poi Donatella Finoccchiaro, Claudio Gioè. In molti hanno partecipato e ci hanno appoggiati; ho sentito qualcosa di positivo, ma non è stato sufficiente, questa città è sempre insufficiente alla fine.
- Città o regione?
Beh alla fine siamo tutti nella stessa isola, credo che ci sia proprio una volontà di rimanere isola, senza però prendere la cosa più bella di isola
- Dal teatro, nel cinema. Cosa ti conduce al cinema?
Iio adoro il cinema, e il mio teatro è molto visuale, perché adoro l’immagine. Adoro immaginarmi delle cose e vederle, e se sono in teatro le realizzo con gli attori, se sono al cinema le realizzo filmando delle cose. Quando racconto e anche quando parlo, provo a fare questo esperimento; io cerco di mettere in scena quello che io vedo.
- In una parola, cos’è il teatro?
E’ un’altra parte e forma di vita
Aurica Livia D’Alotto